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Death Note

death note copertina primo volume

Guardavo l’anime di Death Note il martedì sera su MTV, quando andavo al liceo. Ai miei occhi Light Yagami, il protagonista della serie, era un Raskol’nikov di Delitto e Castigo troppo intelligente per farsi prendere dai rimorsi e subire un castigo per i numerosissimi delitti che ha commesso. Light Yagami era l’esacerbazione del dilemma di Raskol’nikov: se un delitto può rendere migliore il mondo, perché non compierlo? Soprattutto se la vittima è un criminale.

Un fine buono e sincero, ossia quello di rendere questo mondo un luogo abitabile, un luogo migliore, offusca entrambi i personaggi, che senza accorgersene si macchiano a loro volta degli stessi orrori che cercano di scacciare.

Ruyk, un Shinigami, ossia un dio della morte, per cercare un qualche rimedio alla noia che lo attanaglia, getta sulla terra il suo Death Note, un quaderno dai poteri soprannaturali. Light Yagami, geniale studente delle superiori, lo raccoglie e ne scopre il funzionamento: basta scrivere il nome proprio di una qualsiasi persona per decretarne la morte. Una persona normale potrebbe utilizzare questo diabolico strumento per il proprio tornaconto, ma Light decide di vestire i panni del giustiziere anonimo e punire tutti i criminali del mondo con una sentenza di morte, sperando così di prevenire ogni ulteriore crimine. È il dilemma di Raskol’nikov: è giusto commettere delitti per creare un mondo migliore? Ma non c’è solo Dostoevskij in questa storia, ma anche Conan Doyle: a cercare di individuare e catturare un killer che utilizza i poteri di uno shinigami viene chiamato l’investigatore più intelligente di questo universo narrativo, un personaggio del cui nome viene rivelata solo la prima lettera: L.

death note L

È lo Sherlock Holmes che deve far cadere il castigo su un uomo che sta giocando a fare il dio, ergendosi a giudice del bene e del male.
In soli 12 volumi gli autori, Ohba ai testi e Obata alle matite, riescono a inscenare un vertiginoso thriller-distopico con tratti soprannaturali dai colpi di scena serratissimi, il cui esito finale non è per nulla scontato. D’altronde, il dilemma di Raskol’nikov da cui nasce questa narrazione non è di facile soluzione.

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Jacopo Napolitano
Tutte le storie dicono di noi: la finzione ci aiuta a capire cosa è vero.
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